Cari carpigiani, il 2 dicembre ci ha regalato un piccolo compendio di quella che potremmo chiamare "l'arte del vivere contemporaneo": tra soffitti che cedono al Ramazzini e risse in viale Berengario, la nostra città sembra aver voluto dimostrare che anche nelle piccole realtà di provincia si possano concentrare, nell'arco di poche ore, tutti i paradossi della modernità.
Iniziamo dalla cronaca sanitaria, che ci ha regalato un episodio degno di una commedia dell'assurdo. La notte di apprensione al Ramazzini - come l'ha poeticamente definita chi ha vissuto l'emergenza - ci racconta di un raccordo che "ha deciso di arrendersi" e di pannelli del controsoffitto che hanno "ceduto nei servizi igienici". Che sia la metafora perfetta del nostro rapporto con l'innovazione tecnologica? Gli endoscopi al piano di sopra che fanno piovere sui pazienti al piano di sotto: una sorta di medicina a cascata che nessun manuale universitario aveva previsto.
Ma ecco il miracolo della professionalità italiana: mentre l'acqua scendeva come in un'installazione artistica involontaria, il personale sanitario ha dimostrato quella sangue freddo che fa onore alla tradizione medica emiliana. Due pazienti spostati con discrezione, nessun dramma, tutto sotto controllo. È la stessa Italia che sa trasformare l'emergenza in routine, l'improvvisazione in metodo.
Non poteva mancare, naturalmente, la politica a fare da eco amplificato. Antonio Platis di Forza Italia ha colto l'occasione per una diagnosi impietosa: "Il ciclo di vita dell'ospedale è concluso da tempo", tuona, ricordandoci che il terremoto del 2012 doveva essere l'occasione per ripensare tutto. E invece siamo qui, tredici anni dopo, a contare i pannelli che cadono e a programmare un nuovo ospedale per il 2033. Tempus fugit, dicevano i latini, ma evidentemente non avevano mai incontrato la burocrazia sanitaria regionale.
Il centro della città, nel frattempo, ha offerto il suo contributo al repertorio quotidiano con un'aggressione per "futili motivi" in viale Berengario. Tre giovani stranieri regolari che decidono di trasformare una domenica mattina in ring improvvisato: dodici giorni di prognosi per la vittima e una lezione di efficienza per le forze dell'ordine, che li hanno fermati con una coordinazione da manuale.
Il Questore Pennella ha risposto con quella che potremmo definire la dottrina dell'occupazione preventiva del territorio: controlli a tappeto, 81 persone identificate, 37 stranieri controllati, 20 veicoli verificati. Numeri che raccontano una città sotto la lente di ingrandimento, dove la sicurezza si misura in statistiche e la tranquillità in presenze divise.
E mentre il centro viveva questi momenti di tensione, la Statale Romana Sud offriva il suo tributo quotidiano alla pericolosità della velocità: due auto trasformate in "trappole d'acciaio", due vite appese a un filo, e i nostri Vigili del fuoco che, ancora una volta, hanno fatto la differenza con cesoie e divaricatori. La strada che unisce diventa teatro di separazioni, l'arteria di collegamento si trasforma in cicatrice del territorio.
Carpi emerge da questa giornata con il ritratto di una comunità che sa reagire: professionisti sanitari che non si fanno prendere dal panico, forze dell'ordine che coordinano gli interventi, soccorritori che estraggono dalle lamiere. È il volto migliore di una città che, tra infiltrazioni e aggressioni, dimostra di avere ancora quegli anticorpi civili che fanno la differenza tra il vivere insieme e il sopravvivere accanto.
Forse è proprio questo il segreto di Carpi: saper trasformare l'emergenza in normalità, l'imprevisto in opportunità di dimostrare che, nonostante tutto, siamo ancora una comunità.