L'ultimo saluto a don Aleardo: quando un pastore diventa storia di una comunità


L'ultimo saluto a don Aleardo: quando un pastore diventa storia di una comunità

Martedì mattina la Cattedrale di Carpi si è riempita di una commozione discreta, quella che sa di pane quotidiano e di mani callose. È arrivato il momento di dire addio a don Aleardo Mantovani, un prete che per quasi sessant'anni ha camminato nelle nostre terre, tra San Possidonio, San Giacomo Roncole e Mirandola, lasciando ovunque il segno di chi sa costruire non solo chiese, ma comunità. Il vescovo Erio Castellucci ha presieduto la Messa funebre, affiancato da monsignor Douglas Regattieri, vescovo emerito di Cesena-Sarsina, e da monsignor Gildo Manicardi, vicario generale della nostra diocesi. Ma a riempire davvero la chiesa sono stati loro: i sindaci, gli assessori, gli ex scout ormai con i capelli grigi, le parrocchiane che ancora ricordano quella telefonata che faceva brillare gli occhi di don Aleardo anche nei giorni più bui dell'emicrania. Perché don Aleardo Mantovani era fatto così: un uomo che portava dentro di sé tutto il mistero della Pasqua, come ha ricordato monsignor Castellucci nell'omelia. Le croci non gli sono mancate, specialmente negli ultimi anni. Quelle emicranie feroci che lo piegavano, ma mai lo spezzavano. E poi quella luce, improvvisa come una telefonata inaspettata, che gli illuminava il volto quando sentiva la voce di un suo parrocchiano. Era un prete particolare, il nostro don Aleardo. Gli ex scout di Mirandola, quelli che ora hanno figli e nipoti, lo ricordano con affetto e un pizzico di ironia: aveva il "mal della pietra", dicevano. Dove arrivava lui, arrivavano le ruspe. Chiese da ristrutturare, canoniche da rimettere a nuovo, spazi per la comunità da creare. Una malattia benefica, l'ha definita il vescovo, perché don Aleardo ha consegnato alle sue parrocchie luoghi belli dove ritrovarsi. Ma dietro quella facciata a volte burbera, che tentava di nascondere un cuore grande, c'era soprattutto un tessitore di relazioni. Uno che sapeva essere presente nei momenti che contano: ai campi scout quando la nostalgia di casa si faceva forte, nelle aule delle scuole medie dove insegnava religione, davanti all'altare per celebrare i matrimoni dei suoi ragazzi cresciuti. La sindaca di San Possidonio Veronica Morselli era lì con i suoi assessori, insieme al sindaco di Medolla Alberto Calciolari e al presidente del consiglio comunale di Mirandola Antonio Tirabassi. Amministratori che hanno toccato con mano l'eredità di questo prete operoso, che non si accontentava delle belle parole ma metteva mano ai progetti, ai cantieri, alla vita concreta delle comunità. I canti sono stati affidati al Masci di Mirandola, quegli "ex ragazzi" che non hanno dimenticato il loro assistente ecclesiastico scout. E prima della benedizione finale, è arrivato il messaggio della comunità parrocchiale di San Possidonio: parole semplici, come quelle che piacevano a don Aleardo. Il vescovo ha chiuso con una riflessione che sa di verità: negli ultimi anni, quando don Aleardo ripercorreva i tanti episodi del passato tra Mirandola, San Giacomo e San Possidonio, la sua non era nostalgia da pensionato malinconico. Era gratitudine. La riconoscenza di chi ha ricevuto tanto e avrebbe voluto restituire ancora di più. Dopo le esequie in Cattedrale, il feretro ha fatto un'ultima sosta alla parrocchia di San Giacomo Roncole, prima del riposo finale nel cimitero della frazione. Un ultimo viaggio tra i luoghi che hanno visto il suo ministero, tra le pietre che ha fatto rialzare e i cuori che ha saputo toccare. Don Aleardo se n'è andato il 6 febbraio scorso aveva festeggiato i novant'anni, circondato da quegli amici che considerava il dono più bello ricevuto da Dio. E forse è proprio questo il segreto di una vita riuscita: saper vedere nella fatica quotidiana, nelle emicranie e nei cantieri sempre aperti, la luce della Pasqua che non si spegne mai.

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